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giovedì 30 giugno 2011

LETTERE (D)AL CARCERE

“Caro Fabri, ti scriviamo dal carcere di Asti perchè anche tu hai conosciuto la realtà nella quale ci troviamo e l'hai vissuta sulla tua pelle”... “Mi chiamo Massimo, sono un tuo fan da sempre, ti scrivo perché sai cosa significa prendere una condanna senza aver commesso il fatto”... "Mi chiamo Biagio e ti scrivo dal carcere di Lucca, dopo due mesi di libertà sono di nuovo in carcere”... “Sei il numero 1, ti scrivo dalla casa circondariale di Venezia”... Potrei andare avanti per pagine e pagine. Citando nomi di persone, situazioni difficili, storie di vita finite male, dietro le sbarre di un carcere. Fin dal primo numero di Corona Star's mi sono accorto che dalle celle delle prigioni italiane mi arrivavano tantissime lettere: richieste di aiuto, richieste di conforto, magari solo voglia di fare due chiacchiere. Io conosco la voglia che spinge a scrivermi chi deve fare i conti con la limitazione della sua libertà personale, con condanne spesso lunghe, con la paura che ti prende quando ti rendi conto che non puoi più fare quello che vorresti fare, ma che, al contrario, sei costretto a comportarti secondo le rigide regole dettate da altri. So quanto scorrono lente le ore, quanta voglia ti viene di trovare qualcuno che ti ascolti almeno un po'. E quindi, non riuscendo a rispondervi a tutti, uno alla volta come vorrei, eccomi qui. Lo so, potrei fare come tanti vip che si affidano a una brava segretaria per poter far finta di rispondere ai fans. Ma io sono differente, e mi sembrerebbe di prendervi in giro se vi rispondessi con una cartolina uguale per tutti, due righe di circostanza e un autografo. Magari neppure il mio. Ma una cosa ho imparato in quelle settimane passate dietro le sbarre, da innocente, accusato di aver fatto cose che, in realtà, non avevo mai fatto.
Che a chi sta dietro le sbarre si deve lo stesso rispetto (e a volte anche di più) di chi è libero e bello in giro per la strada. Perché il carcere è in ogni caso sofferenza. E la sofferenza merita di essere guardata con attenzione al di là delle colpe. Tanto più che essere giudice non è nelle mie corde, non mi va di condannare o di scusare. Non mi va di giudicare o di perdonare. Quindi forza e coraggio, ragazzi (e ragazze) delle carceri. Io so cosa vuol dire quel senso di appartenenza e di familiarità che si instaura tra chi è recluso tra le quattro mura di una cella, di un cortile, di una casa circondariale. Ancora oggi ho amici che mi vengono a trovare in redazione, amici che, non mi vergogno a dirlo, sono stati il regalo più bello (anzi, l'unico regalo, perché alla fine l'esperienza del carcere è comunque devastante) dei miei 77 giorni in carcere. Quindi coraggio Matteo, Antonio, Luca, Biagio, Fede, Paolo, Abdul, Isah. Forza ragazzi del carcere di Asti. La vita è importante e vale la pena comunque di essere vissuta al meglio, più interamente possibile. Anche se è difficile, maledettamente difficile. Anche se a pensare a domani ti viene l'ansia, ti si stringe la gola. E le persone che sono rimaste fuori ti mancano in maniera così forte da spaccarti in due. E' vero, forse io riesco a capirvi più di tanti altri. E sono al vostro fianco nelle vostre battaglie, nelle vostre crociate. Perché quella delle carceri italiane è una vergogna da terzo mondo, perché è assolutamente ingiustificabile il fatto che oltre alla condanna ci si trovi costretti a vivere in una situazione assolutamente invivibile, pressati come sardine, in celle dove non funziona niente, impilati come merci senza valore. Facile fare del moralismo: sono detenuti, se la sono cercata. Peccato che la loro condanna sia quella di stare in carcere uno, due, tre anni. Il lavandino che perde, il sovraffollamento delle celle, le prigioni che cadono a pezzi sono pene accessorie, non giustificate in un Paese che vuole definirsi civile. E di cui io, a volte, mi vergogno.
Fabrizio    




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